Non ho mai smesso di camminare, neanche quando l’attività fisica era consentita entro i 200 metri dalla propria abitazione… e non ho mai smesso perché trovo che camminare abbia un potere salvifico nei miei confronti: non solo mi permette, più che qualsiasi altra attività, di entrare in contatto con me stessa, di ascoltare il mio corpo, il mio respiro, di prendermi del tempo da trascorrere solo con me… ma anche perché camminare mi dà delle opportunità che in altri momenti della giornata non avrei.
È solo camminando che, alzando gli occhi al cielo, ho visto nuvole dalle forme più svariate, è solo camminando che mi sono accorta di alcuni colori della natura, del suono degli uccelli, degli sguardi delle persone… ed è soprattutto camminando che ho avuto degli spunti per riflettere. In questo periodo mi capita di riflettere sulla mascherina. Mi rendo conto che camminando dà fastidio, io stessa ho bisogno di abbassarla per respirare.
Sempre più spesso vedo arrivare dalla direzione opposta alla mia ma dal mio stesso lato, persone che hanno la mascherina abbassata, all’altezza del collo. Ricordo bene che, le prime volte, questo suscitava in me rabbia perché sentivo che il mio diritto alla salute era violato dall’atteggiamento di un’altra persona; allora cambiavo lato della strada, abbassavo o addirittura giravo lo sguardo. Ma c’è un comportamento che, invece di procurarmi rabbia mi procura commozione: è quando una persona che arriva dalla parte opposta alla mia, vedendomi arrivare, alza la mascherina coprendo bocca e naso.
Lo trovo un gesto di estrema cura e di attenzione nei loro confronti e nei miei. E allora io rimango in quella parte del marciapiede e quando le nostre traiettorie si incontrano guardo la persona che mi passa accanto e con le labbra e con gli occhi le sorrido. Perché è solo partendo da questo gesto che possiamo pensare di salvarci (con o senza coronavirus) partendo dal prenderci cura di noi e degli altri.