Fa ormai parte del nostro modo di parlare (e quindi anche di pensare), riferirci ad un evento, ad una sensazione piuttosto che ad un’esperienza identificandola con il termine negativo o positivo, dove, secondo il sentire comune, negativo è ciò che non va bene e che, quindi non deve più ripetersi, mentre positivo è ciò che funziona e che, quindi, è bene che sia ripetuto.

Per quanto, dal mio punto di vista, questo pensiero non sia del tutto discutibile ciò che mi preme, in questo momento, è soffermarmi a riflettere sui termini “positivo” e “negativo”. Come detto prima, siamo abituati ad identificare questi due termini con qualcosa che diventerà positiva o negativa a seconda di quale dei due termini gli è vicino. Per cui diventa che un’esperienza può essere positiva o negativa, un pensiero positivo o negativo, un’emozione, una persona e così via.

Il punto di vista che voglio condividere in questo articolo, in realtà è un altro: non è l’evento, il pensiero, l’emozione o la persona ad essere positivi o negativi ma la nostra reazione ad essi e positivo e negativo, non è ciò che funziona o ciò che non funziona ma ciò che facilita o rallenta la nostra costruzione del benessere. Quindi, se una nostra reazione ad un evento esterno, di qualsiasi natura esso sia, facilita la nostra costruzione del benessere allora è bene che quella reazione non solo metta radici in noi ma sia” d’esempio” anche ad altri.

Se, invece, si frappone fra noi ed il nostro star bene allora è nostra responsabilità comprendere cosa ci porta ad agire in quel modo a fronte di uno stimolo interno od esterno che sia. Questo vale per tutto, anche per i pensieri ed è sulla base di questa premessa che vado ad addentrarmi nel mondo dei pensieri “negativi” e “positivi”. Qualcuno ha detto che se vogliamo sconfiggere un nemico, la prima cosa che abbiamo bisogno di fare è sconfiggerlo.

Quando stiamo portando avanti un lavoro su di noi, per cercare di evolvere e di migliorare, abbiamo bisogno di tenere in considerazione che non c’è nulla da sconfiggere ma è necessario cercare di creare con le diverse parti di noi, una convivenza più che pacifica, cosa non semplice se consideriamo che le diverse parti di noi devono fare i conti non solo con la nostra memoria conscia ma anche con il nostro inconscio, definito da Freud come un disco che ha registrato ogni vissuto doloroso appartenente alle nostre esperienze e che lo ha immagazzinato in uno spazio lontano dalla nostra mente cosciente.

Se tutto finisse qui non ci sarebbero problemi: ricordiamo solo le cose che possiamo tollerare mentre le esperienze più traumatiche rimangono, per una questione di sopravvivenza, lontane dalla nostra mente conscia. In realtà non è proprio così: i vissuti presenti nel nostro inconscio vengono riattivati sotto forma di sensazioni più o meno dolorose da situazioni esterne che, in qualche modo, ne riattivano il ricordo, seppur in modo non cosciente.

Per cui, ogni qual volta un pensiero, un’emozione ci creano uno stato di tensione difficilmente sostenibile, è perché portano con sé non solo il dolore dell’oggi ma anche quello di eventi passati che abbiamo rimosso. L’esperienza della pandemia ci ha fatto provare questa dinamica sulla nostra pelle mettendoci in contatto con paure profonde e dolorose rispetto alle quali abbiamo trovato modi diversi per sentirci sicuri: la paura della solitudine, del fermarsi, della perdita, della morte. Ciascun pensiero negativo riconducibile all’esperienza della pandemia, in realtà ha aperto dentro di noi voragini emotive che ci hanno riportati a paure lontanissime e profonde.

Ogni preoccupazione, ogni rimuginio, ogni pensiero ossessivo va oltre l’esperienza contingente che lo ha originato.  Ma qual è la differenza tra questi tre tipi di pensieri? Per preoccupazione s’intende uno stile di pensiero finalizzato a comprendere il perché di un determinato stato emotivo negativo o una qualsiasi condizione che genera malessere. Questo tipo di pensiero fa sì che il soggetto si focalizzi completamente sul passato.

Per rimuginio, invece, s’intende una catena di pensieri ed immagini relativamente fuori controllo che il soggetto attiva con l’obiettivo di prevedere imprevisti o situazioni future. In questo caso il soggetto è completamente focalizzato sul futuro. I pensieri ossessivi, invece, sono contenuti mentali, principalmente sotto forma di immagini, che si presentano in maniera automatica ed incontrollabile.

Si ossessivizzano ogni qual volta il soggetto, ritenendoli insostenibili, si applica attivamente con l’intento di scacciarle. Tutto questo ci porta a dire che, in alcuni casi e senza rendercene conto, siamo noi stessi ad alimentare i nostri pensieri negativi, rimanendo agganciati ad essi e dando loro ragione. Quindi, ciò che assolutamente non funziona quando si tratta di convivere con i pensieri negativi è, da una parte, provare a controllarli e, dall’altra, cercare di scacciarli. Perché non serve? Perché se un pensiero si fa sentire è perché ha qualcosa da dirci e, finché noi non lo prendiamo in considerazione, non lo ascoltiamo, non gli diamo spazio, lui troverà il modo di tornare più forte di prima.

Attenzione però, prendere in considerazione un pensiero negativo non vuol dire credere in toto a tutto ciò che dice perché un pensiero non è la realtà ma la rappresentazione che noi diamo alla realtà a seguito di un evento. Non credere, quindi, che un pensiero sia realtà ma credere alla sensazione che quel pensiero ci suscita. Vediamo allora quali sono i passaggi fondamentali che noi possiamo mettere in atto per cercare di convivere al meglio con i nostri pensieri negativi:

  • ACCETTAZIONE GENTILE E CONSAPEVOLE: accettiamo che un pensiero, di qualsiasi tipo esso sia, attraversi la nostra mente. Non giudichiamoci perché abbiamo pensato questa cosa ma ricordiamo che se quel pensiero è arrivato, ha qualcosa da dirci e quel qualcosa è utile per il nostro benessere non è pericoloso. Se i sensi di colpa iniziano a prendere il sopravvento, allora potrebbe essere che la nostra parte giudicante sia troppo radicata e che sia necessario, con l’aiuto di un esperto, un lavoro per sostenere la nostra parte affettiva.
  • SO-STIAMO NEI NOSTRI PENSIERI: stare nel pensiero, con accettazione ed accoglienza, ci aiuta a comprenderlo meglio e, paradossalmente, a prenderne le distanze. Solo stando nei pensieri, e non scappando, possiamo considerarli in un’ottica globale.
  • METTIAMO SOTTO “GIUDIZIO” I NOSTRI PENSIERI: cioè individuiamo le prove che ne supportano la veridicità e quelle invece che la disconfermano
  • FACCIAMOLO DIALOGARE CON I NOSTRI PENSIERI POSITIVI: questo è il passaggio fondamentale (senza i tre precedenti, però, non sarebbe possibile) perché un lavoro di crescita implica sempre un equilibrio e se i nostri pensieri negativi non hanno come compagni di viaggio pensieri positivi altrettanto solidi, rischiano di prendere il sopravvento interferendo sulla nostra costruzione del benessere.

Allora andiamo a capire cosa sono questi pensieri positivi. Si definiscono pensieri positivi tutti quei pensieri che rappresentano un obiettivo, uno stato emotivo che si vuole raggiungere o il tipo di persona che si vuole diventare e che, grazie alla loro costante ripetizione, possono provocare dei cambiamenti rilevanti sul nostro stato psico-fisiologico.

Pensieri in divenire, quindi, per crescere, migliorare, evolvere.

Il pensiero positivo però dev’essere assolutamente aderente alla realtà perché. laddove il nostro cervello dovesse avere a che fare con un pensiero negativo che dialoga con un pensiero positivo avulso dalla realtà, avvertirà una forte contraddizione (si parla di dissonananza cognitiva) e gli verrà automatico credere, rafforzandolo, al pensiero negativo.  Questo perché i nostri pensieri negativi sono più marcati, a livello di evoluzione umana, nella nostra psiche perché legati ad un concetto di sopravvivenza: l’uomo primitivo aveva bisogno di pensare che le cose non sarebbero andate bene per poter mettere in atto strategie di sopravvivenza. Oggi l’evoluzione ha fatto sì che questa modalità di sopravvivenza non solo non sia più necessaria ma sia anche controproducente per un benessere psico-fisico. Il problema è che, considerando i secoli di pensieri negativi, ci viene automatico mettere in atto queste modalità mentre per ciò che riguarda i pensieri positivi abbiamo bisogno di fare uno sforzo cosciente e volontario perché possano sempre più radicarsi all’interno della nostra psiche. Vediamo allora come costruire un buon dialogo interiore:

  • RIPETIZIONE: per prima cosa c’è bisogno di una ripetizione costante del pensiero positivo
  • PLAUSIBILITÀ: i nostri pensieri positivi hanno bisogno di essere sostenuti da esperienza che confermino il pensiero stesso. Anche per i pensieri negativi solo che è più difficile recuperare esperienze durante le quali abbiamo avuto un atteggiamento vincente rispetto ad esperienze durante le quali abbiamo avuto un atteggiamento perdente. E questo non perché non ne esistano abbastanza, solo perché non siamo abituati a riconoscerle.
  • EMOZIONI: lo stesso discorso vale anche per le emozioni, sapendo che la dimensione emotiva ha un impatto decisamente amplificato rispetto all’apprendimento che possiamo trarre da un’esperienza. Il nostro pensiero positivo si deve basare su un’emozione che risuona forte dentro di noi, altrimenti sarà come costruire casa senza mettere fondamenta.

 

“io penso positivo perché son vivo…….” diceva jovanotti…..e aveva ragione!!