“Chiunque incontri ti chiede come va il lavoro, se sei sposato o se hai una casa, come se la vita fosse una lista della spesa. Mai nessuno che ti chieda se sei felice.”

Questa frase mi rappresenta molto non solo perché per tanti anni, e ancora adesso, incontro gente che mi fa domande sul raggiungimento dei miei obiettivi personali e lavorativi ma anche perché per tanti anni, e ancora oggi, la tendenza ad identificare il raggiungimento dei miei obiettivi con la mia felicità è forte. Per tanti anni ho pensato che se avessi fatto la brava bambina, se avessi obbedito ai genitori, se avessi avuto un lavoro dove ero considerata brava, se avessi avuto un fidanzato la mia vita si sarebbe potuta considerare felice.

Intendiamoci, non è che tutto ciò che ho appena citato non vada bene, ma con il tempo ho compreso che non è il lavoro in sé a renderti felice ma quanto ognuno di noi riesce ad esprimere sé stesso attraverso quel lavoro. Non è facendo sempre le cose giuste che siamo felici perché, mi sono chiesta e mi chiedo, quanta infelicità c’è dietro a quell’imporsi di non sbagliare e quanto mancato apprendimento ci costa l’evitare in tutti i modi di confrontarsi con l’errore? Siamo felici quando raggiungiamo degli obiettivi, e questo ci sta, è sano. Ma sappiamo essere felici indipendentemente dagli errori e dal raggiungimento dei nostri obiettivi?

Non so, per me è un lavoro lungo, concreto, quotidiano. Essere felici nonostante vuol dire saper vedere in sé e nella nostra parte più autentica i semi della felicità. Vuol dire essere capaci di dire a noi stessi che, probabilmente, quella cosa avremmo anche potuto non farla o farla meglio e che adesso siamo responsabili di ciò, ma anche dirsi che siamo capaci di fare di meglio e che quell’errore, quello sbaglio ha intaccato una nostra forma ma non la nostra sostanza. Che la nostra sostanza è molto di più di quello che facciamo e dei nostri obiettivi più o meno raggiunti. Più ci concentriamo sugli obiettivi che raggiungiamo fuori di noi (lavoro, famiglia, tempo libero…) e meno stiamo investendo energie su quello che dentro di noi effettivamente siamo. Cerchiamo di raggiungere obiettivi fuori per sentirci bene dentro…

…e se provassimo ad invertire la rotta? Se provassimo ad investire le nostre energie sulla relazione che riguarda me e me? Se invece che pensare di avere un buon lavoro, una buona famiglia, buoni amici, buoni hobby (tutte cose lodevoli per carità), cominciassimo a pensare di parlarci in maniera più comprensiva, di apprezzarci di più nonostante le fragilità, di credere che ce la possiamo fare come persone e non solo come lavoratori, mogli mariti, figli e amanti…

Io credo che se facessimo così saremmo felici nonostante e non solo a condizione che. Sì perché può succedere che il lavoro non vada, che la famiglia fatichi, o che gli amici siano lontano, ma se io ci sono per me stessa, posso dire di essere felice… nonostante…

 

“e quando niente, quando niente ti sa offendere,
è solo allora che sai veramente essere”

Fiorella Mannoia